Super Angels Cut 2006 - Rock'n'roll

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Ciò che più mi affeziona a una produzione musicale è la sua capacità di scatenare valutazioni, sensazioni, virate di interesse discordanti che si evolvono dal primo impatto all’ascolto razionale. E il potere, a tratti persino fastidioso, di destabilizzare e contaminare un gusto consolidato al punto di diventare preconcetto.

Dodici tracce quindi, canzoni da sovrappensiero, schiave di Kills, Franz Ferdinand e dei primi Strokes, con fondamenta classicamente rock, si trasformano nello scorrere in insolenti caricature, lussuriosamente rock’n’roll, che ostentano in modo irresistibile la derivazione lasciando all’ascoltatore, libero dall’ansia di smascherare l’atroce debito alle fonti, la serenità per godersi i particolari. Innanzitutto i testi che nella loro estrema carenza di profondità si legano nell’ossessivo tema dell’amore sensuale come una monotematica cavalcata tra le ceneri di innamoramenti adolescenziali irrisolti, tra richieste sboccate, arrendevolezze da “Stupid Boy” e indolenza da “Happy Song”, arrivando a risultare sottilmente ironici e perversi. Gli arrangiamenti furbi e soddisfatti di sé, definiscono un’architettura sonora ricca e scorrevole, carente solo nelle partiture di batteria spesso incolori e prive di incisività, e accompagnano la forma canzone senza invaderla, rimescolando infiniti spunti ‘60 e ‘70, sfumature vintage, accentuazioni glam, stop’n’go precisi, effetti raffinati, filtri sulla voce e un chitarrismo dominante e vario. Esemplare nel definire l’attitudine dal gruppo,anche se non all’altezza di altri brani, la traccia “Serious Girl” un godibilissimo delirio da rock star con tanto di urla scomposte delle fans a condire una composizione diretta ed energica. Ma nessuno strumento riesce comunque ad affiancarsi alla vocalità dell’interprete come controparte altrettanto ammaliante. Una voce da stronzetto che farebbe miracoli di vendite, 38 minuti di cantato espressivo e carismatico che rende prescindibile la pronuncia inglese imperfetta, dalla timbrica duttile, profonda e carnale che si sfoga in “Zabrinskie Point”, inchioda in “Easy and Sweet” si arrende all’emotività in “Every Step”, in chiusura, con un tono sgualcito e tradito di chi dopo tanta furia torna a casa solo.

Boriosamente in questo lavoro tutto può sembrare già sentito, accattivante ma trascurabile, eppure funziona da sedativo per gastriti da ipercritica. E lascia quello che resta dopo un’inconfessabile abbuffata notturna di cose golose e malsane, quello che rimane nel ricordo di una prestazione occasionale e furibonda dopo anni di accasamento. Soddisfazione.

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La recensione Cut di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-11-09 00:00:00

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