Al secondo album in studio, i Clashing Tune riprendono il filo del discorso evolvendo il pop-rock di base attraverso sguardi esterni utili a cesellare un possibile e concreto nuovo inizio
Sono passati un po' di anni dalla prima esperienza in studio ma, se la voglia di esserci e la conseguente capacità intuitiva permettono di maneggiare senza indugio i giusti ferri del mestiere, poco importa al cospetto di un cammino che riprende esattamente da dove aveva lasciato le ultime impronte per avventurarsi, fin dove possibile, in una rinnovata esperienza di vita, oltre che puramente musicale.
Per i romani Clashing Tune, infatti, il nuovo album The Wonders' Club potrebbe rappresentare tanto un recupero di discorsi lasciati in sospeso quanto un nuovo cantiere di idee un po' recuperate e un po' (di più) ulteriormente sviluppate con la saggia consapevolezza di una maturità sia personale che – per diretta conseguenza – in sede di scrittura.
La matrice marcatamente pop rock è ben riconoscibile tra le solide fondamenta che costituiscono la base portante di ogni scelta compositiva onesta, fresca e ben disposta ad evolversi in scia con esperienze trascorse e in divenire, ma è anche un valido supporto per interessanti incursioni esterne abilmente in sintonia con affinità simil-funk di considerevole fattura (The wonders' club, Close the circle) e coniugazioni semi-blues di caratteristico stampo anche cantautorale (Sly imitation).
Buona è la predisposizione creativa e la rispettiva traduzione in arrangiamenti semplici ma sufficientemente suggestivi anche dove il percorso, quasi per contro, strizza l'occhio a certo hard rock di tendenza pseudo-grunge in strano ma notevolissimo connubio psico-prog con inattese escursioni acoustic-folk (Endless bond).
Sembra allora quasi naturale, a questo punto, l'ulteriore carta spiazzante giocata sul versante soft-jazz prima di tornare tra i ranghi del formato canzone (The silent master), per quanto gli ammiccamenti heavy facciano sempre gradevolmente capolino a riportare in auge un trascorso ispirativo mai sopito e, anzi, sempre utile a tracciare nuove rotte mantenendo vive le stazioni di partenza (Time to dare), prima di affidare la chiusura del cerchio alle altrettanto vive suggestioni ballad tipiche del genere ma rese sempre con una giusta dose di specifica personalità (Rays of light).
Nulla di particolarmente appariscente per quanto riguarda specifiche possibilità legate a una chissà quanto spiccata esigenza distintiva, ma la classe si sente e risiede nella scelta di non conformarsi del tutto a una sostanza comunicativa che ha già donato più del dovuto nel corso dei decenni, optando invece per una libertà creativa che se da un lato si mantiene comunque ancorata alle pur giuste e necessarie provenienze, dall'altro se ne serve per curiosare senza paura oltre i propri confini sapendo di poter tornare a casa in ogni occasione.
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La recensione The Wonders' Club di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2023-11-28 22:14:17
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