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"Manco Cristo più mi ascolta": partendo dal rap e dal pianoforte, Leiden racconta storie di malessere spingendosi al di fuori dei canonici confini della canzone

Cristo, l’ultimo brano pubblicato dal cantautore pescarese Leiden, più che una canzone, è un happening. Allo stesso modo di questa forma d’arte contemporanea che più che sull’oggetto in sé si basa sull’evento che vi si crea intorno, Cristo vive e si propaga ben al di fuori dei tre minuti della sua durata.

Ma andiamo con ordine, e partiamo dalla base – cioè, dal pezzo in sé. “Manco Cristo più mi ascolta”: è un’asserzione spiazzante e iconoclasta il fuoco del brano, che immediatamente riporta alla mente "Dio è morto" - più nel senso che gli diede Guccini, che in quello originale nietzschiano. La melodia è mutevole, contiene diverse sfaccettature che si susseguono. L’inizio è affidato al solo pianoforte, che rimane protagonista anche mentre nella strofa sopraggiungono gli altri strumenti, prima dell’esplosione dei synth e della batteria nel ritornello. La seconda strofa è invece più fedele al background di Leiden, che proviene dal freestyle: la base quasi scompare, il pianoforte suona pochissimi accordi, ed è il cantato rap a prendersi la totalità della scena, carico di pathos, mentre racconta che “non vede fede se non nelle influencer / non vede un credo se non nelle apparenze”. La vocalità dell’artista, nel brano, è carica di spleen, con molte parole che si comprendono quasi a fatica, colme di malessere, mentre denunciano l'assurdità delle madri che piangono, dei figli che spacciano, del cibo in plastica.

La portata lirica del pezzo è notevole; i momenti in cui “manco Cristo più mi ascolta” assumono sembianze disparate. Gli echi di Allen Ginsberg e di Howlsono una chiara ispirazione, per un pezzo che cerca di calare quel disagio lì nell'Italia contemporanea. Ed è qui che entra in gioco l’happening: come corollario della canzone, Leiden ha girato alcuni video, in cui i protagonisti condividono la loro storia, partendo dai versi della canzone, e raccontando perché risuonano così tanto in loro. E così, Diana racconta del fatto che “lo specchio ricorda che sto invecchiando e dovrei riposare”; Pino parla di “una società individualista come questa”, avvolto dalla nostalgia delle balere, delle terre di origine e dei momenti di comunità. Andrea condivide la sua prospettiva sul “mondo così pieno ma del vuoto profondo”, e per concludere Nadir conferma che sì, manco Cristo più lo ascolta, ma non è che Cristo deve ascoltare per forza, bisogna guardare dentro di sé più che fuori per andare avanti.

Vuoi per la presenza di molteplici sonorità, vuoi per le parole non sempre chiare al primo ascolto, vuoi per gli elementi di contorno che però sono parte integrante della canzone, Cristo è un brano che richiede del tempo per essere compreso. Decidere a quali pezzi dedicarne un po' del proprio, è sempre una questione delicata. Posso però garantire che il tempo dato a Cristo non sarà certamente sprecato.

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La recensione Cristo di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-07-07 16:09:00

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