Tra le suggestioni poliziesche e le follie da carnevale Spezzatino Porcino è la prova empirica dell'intelligenza compositiva di Fabio Fabio
Ho un vago ricordo, risalente a un paio di anni fa, di Cosmo che si riferisce a Fabio Fabio come al più colto, al più competente in fatto di musica, dentro l'universo di Ivreatronic. Ora, non sono certo che sia vero, le fonti sono citate approssimativamente, ma dopo l'ascolto di Spezzatino Porcino - e già sul titolo ci sarebbe da scriverci un libro -, posso affermarlo, anche rischiando che sia una mia invenzione: Fabio Fabio è la fucina di sapienza musicale del collettivo eporediese.
Spezzatino Porcino è un disco di drastica dilatazione, una richiesta di attenzione spropositata, che arriva alla fine di un'estate italiana musicalmente drammatica, stracolma di canzoni stampate in 3d, e senza lo straccio di un disco memorabile. Dopo il grandissimo lavoro fatto con Paesaggi, Marco Foresta ha abbandonato momentaneamente le descrizioni musicali, le pitture di elementi umani in contrasto con quelli naturali, per approdare ad un disco fatto di geografie.
I brani lunghissimi che compongono Spezzatino Porcino sono movimenti, flussi interrotti di creazione pura, mappe - geografiche appunto - che hanno come unico scopo l'esplorazione, sconsiderata e senza bussola. E il risultato è sorprendente, perché non si tratta di un lavoro pieno di svarioni o stranezze psichedeliche. Perché il genio a volte si nasconde nelle cose più semplici: i pezzi sono strutturati, quasi imbrigliati dentro schemi ritmici downtempo. E accanto alla scansione così meticolosa delle celle ritmiche può subentrare tutta la ricchezza di suoni e campionamenti di Fabio Fabio, oltre ai due riff micidiali della title track e diDu Brasil.
Nel mercato musicale odierno, impazzito per le autobiografie pop scandite da canzoni dolci ma spietate nella loro concezione, Spezzatino Porcino offre un viaggio a tratti introspettivo, all'interno di un artista che non ha voglia di offrire al grande pubblico struggimenti o crisi esistenziali, ma semplicemente un movimento, l'esplicitarsi dei suoi bisogni, come si sente dire dalla voce campionata in Diventano alberi.
L'attenzione anche nella ricerca delle parole va sottolineata. Si parla di bisogni e non di desideri, c'è un sottotesto di animalità molto grezza e molto poco scintillante - non a caso la voce è campionata da La proprietà non è più un furto, Elio Petri, 1973 -, come a voler sottolineare ancora di più la controtendenza di questo lavoro, o l'antipop, come direbbe qualcuno di amico. E a proposito di amici la squadra al lavoro in Spezzatino Porcino è quella dei sodali di sempre: Cosmo al mix, Andrea Suriani al master, Bitch Volley ed Enrico Ascoli come collaboratori in Gioggiò è Tre voci al rave.
Fabio Fabio si è immerso in un'esplorazione geografica dalle dimensioni enormi, ma a differenza dei reporter di Cannibal Holocaust è tornato vivo insieme al materiale raccolto: un insieme di deformazioni bucoliche trip-hop, il lavoro di manipolazione su materiali già esistenti, che ora hanno assunto nuova forma dopo essere stati immersi nella foresta pluviale. Tra le suggestioni poliziesche e le follie da carnevale Spezzatino Porcino è la prova empirica dell'intelligenza compositiva di Fabio Fabio.
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La recensione Spezzatino porcino di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-09-13 10:50:00
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