MisseyLa ricompensa della mangusta2024 - Soul, Pop

Disco della settimanaLa ricompensa della mangustaprecedente

Ne La ricompensa della mangusta la contemporaneità è uno sguardo che ci scruta impietosi, e noi, sbeffeggiati di qua e di là cerchiamo di raccapezzarci mentre Missey passa da reggaeton scarni a ballate sensazionali

Da dietro uno schermo pieno di luci sberluccicanti, come un inserto di pubblicità che copre tutto la visuale e che ruba l'attenzione, ecco che arriva il primo disco di Missey, dopo vari colpi singoli, ep, e una genesi di personaggio degna delle migliori serie tv. Senza l'esigenza di bruciare le tappe questo strano ibrido del sottbosco urban-pop si è palesata con un album il cui titolo va incorniciato e spedito in un archivio. La ricompensa della mangusta - e per il lessico siamo più vicini ad un classico di Lucio Fulci - inizia con una sorpresa, una sorta di ouverture di strada a sipario chiuso, che mette già le cose in chiaro, mentre si sistema il microfono, e i fari virano su toni del rosa e del giallo.

Il vero inizio è affidato a Lamine, brano già edito come singolo, e così può ufficialmente iniziare questo viaggio, che suona come un diario di bordo di ordinaria psicosi quotidiana. Mano a mano che scorrono i minuti, ma soprattutto ascolto dopo ascolto, risulta sempre più chiaro il fuoco di un disco che non ama lanciare colpi sferzanti, malavora con la stratificazione del suono, per raccontare un perpetuo senso di inadeguatezza, quella incapacità di raggiungere e afferrare la ricompensa di una società sempre meno comprensibile.

La musica di Missey agisce dietro una serie di filtri, finzioni che ricordano dispositivi tecnologici, che attraverso la sua voce assumono calore e umanità. "Ma di colpo sono anch'io pesce nella rete della folla" canta in CRISTO A BRUXELLES, cercando di rendersi concreta in un flusso di persone, chissà se fisiche o digitali, che passano, a volte guardano, e non si lasciano toccare da quasi nulla, se non da una scena macabra.

Ne La ricompensa della mangustala contemporaneità è uno sguardo che ci scruta impietosi, e noi, sbeffeggiati di qua e di là cerchiamo di raccapezzarci mentre Missey passa da reggaeton scarni a ballate sensazionali. L'apice della dolcezza è raggiunto in JOA, e quando arriva quella progressione di archi sintetici è difficile trattenere la commozione. Dall'altro lato del fiume giace mai sopita una sfacciataggine che nello stile ricorda Chadia Rodriguez, superata sulla sinistra per quanto riguarda la scrittura.

"Potevo entrare fuori tempo, tanto l'indole di vivere in 9/16 ti fotte con la fomo che sale come mercurio", è il verso che consacra Missey come grande penna, e PICCOLO CHIKORITA, che vanta la produzione di Plastica, sembra essere il baluardo di questo pop ibrido, fatto di pixel e lustrini, occhiali a specchio e vestiti cuciti a mano. A impressionare è la varietà di soluzioni, oltre che la gamma - ristretta ed oculatissima - dei featuring: Cecilia e Marta Tenaglia per la quota delicatezza, VISCARDI e Troyamaki per la quota caos scomposto, e basta ascoltare SPICY TORNADO per una testimonianza diretta di questa fruttuosa mancanza di forme.

La ricompensa della mangusta è in un certo senso una lunga strada verso una chiusura che suona a tutti gli effetti come una soluzione. "Accetta che sei la via d'uscita", frase che potrebbe chiudere un film per ragazzi, forse il finale che non ci aspettavamo, pronti a bearci della nostra intelligenza, perché all'altezza di una chiusa intellettuale e complessa. Ma Missey prende tutti controtempo, e in questo canto conclusivo prova a proporci un ritorno reale a noi stessi. Nessun solipsismo, solo la dichiarazione che la pop music è un riflesso del nostro gorgheggiare interiore. Eccola, la ricompensa.

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La recensione La ricompensa della mangusta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2024-10-04 11:23:00

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