I Cabrera ci ricordano l’importanza di ballare stando fermi, tra fibrillazioni interiori su frequenze di emo-core
Le cose belle sono difficili. Ma che c’entra Platone con i Cabrera? Assolutamente nulla. Però l’ultimo disco del gruppo modenese è una trama complessa: di pause, ritorni, immobilismo provinciale su ritmi febbrili. Ed è pure un disco bellissimo, provare per credere.
Dopo qualche anno di silenzio e di chitarre impolverate, i Cabrera ritornano come non si fossero mai fermati; come se noi sotto al palco non avessimo smesso di aspettarli. Restare intatti, uscito nel febbraio di quest’anno, ce li riporta negli abiti di sempre. Non li avevamo mai visti così belli.
Il disco nei suoi contorni è un tripudio del post: post hardcore, post-punk, post-rock incastonati in un’attitudine emo che rimane come tono fondamentale, impossibile da scrostare. L’itinerario in cui farsi condurre è prestabilito: dalla provincia al mare aperto. Perché a Modena non c’è il mare, e per questo il mare lo si deve trovare dentro nei crepitii della solitudine, nel grigiore d’inizio settimana: o per lo meno questo sembrano dirci i Cabrera in Lunedì. La necessità di fuggire stando fermi, l’odore di pioggia nei corridoi ventricolari o su strade sterrate che non portano da nessuna parte s’incuneano in un suono che rivela trame ossimoriche d’una tragedia in provincia. Perché in tutto l’underground, la valenza introspettiva del viaggiare prende il sopravvento sul movimento fisico, come ci suggerisce Tondelli in Sulle strade dei propri miti.
Le linee melodiche delle otto tracce di Restare intatti creano paesaggi nebulosi, in cui il sound emo-core si staglia come lampi che più che illuminare abbagliano occhi semichiusi nel grigiore provinciale. Le chitarre e la ritmica ci riportano ad atmosfere a tratti schizofreniche, a tratti più airy, contribuendo a creare un continuo stato di straniamento nell’ascoltatore, giocato interamente sull’immediatezza e la necessità del gruppo modenese. Il tutto, dribblando i soliti cliché del genere: è un disco che odora di lacrimoni, e lo fa senza scadere nel banale. L’urgenza si sente fin dalle prime battute, ti prende a pugni se hai l’ardire di lasciarlo in ripetizione.
È un disco riuscito? Si, soprattutto perché t’illude di poter trovare il mare aperto non solo tra le mura di una cameretta, ma insieme a miriadi di sudori sotto un palco. Forse per poche ore, ma per noi può bastare.
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La recensione Restare intatti di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2025-02-28 18:56:52
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