A settembre inoltrato, col sole che non scotta più e i sandali che ti fanno gelare i piedi – ma continui a metterli perché così sembra ancora estate – non si possono mica ascoltare 'sti dischi.
Qualche canzone è cantata in spagnolo, con accento andaluso e atmosfere che fanno proprio pensare a Tarifa, che è praticamente il Salento iberico, tra rastoni e fighe/i da ogni dove, tanto reggae e suoi surrogati. I Solidamor, però, non fanno propriamente reggae. E se vogliamo usare la patchanka come definizione di un gran calderone di stili, avanti.
Si parte con un’apertura alla Mano Negra, ma in italiano. Si continua, poi, omaggiando ritmi latini che strizzano l’occhio un po’ al son cubano un po’ ai mariachi messicani. Si ritorna verso Manu Chao e Sergent Garcia, con pezzi divertenti nei quali si infila un po’ d’inglese e qualche chitarra, alcune in levare ma sempre abbastanza pompate. “Hawaian Moon” sembra quasi un tributo ai primissimi Africa Unite, quando Bunna provava ancora a cantare in inglese e il reggae italiano di fine anni ’80 si reggeva su canovacci scarni e, soprattutto, sulle martellanti tastiere in levare che riempivano tutto. C’è anche spazio per una ballad lentissima che non finisce più e per un altro allegro in tre quarti con fisarmonica che parla delle bugie da marinaio. E si chiude con l’unico pezzo che merita davvero una bella nota di merito, che se l’avesse fatto Roy Paci avrebbe spopolato, anche se non mette addosso la stessa joya, si capisce.
Probabilmente dal vivo sono molto divertenti, ma su disco sono davvero poche le tracce che ispirano fiducia: troppe proposte tutte insieme, troppa sudditanza ai quei Mano Negra che ormai fanno scuola a molti e da molto tempo. E, forse, manca quell’esplosività che una miscela del genere dovrebbe avere per definizione.
---
La recensione One Man Show di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2007-09-28 00:00:00
COMMENTI