Lo archiviano sotto la dizione "retropop", ma di retrò questo disco ha ben poco. Certo, sono evidenti le ispirazioni d'antan (Morricone, ma soprattutto Reverberi), ma il trattamento che subiscono non è affatto nostalgico. Era già un'operazione postmoderna quella di Morricone che si reinventava suoni ed echi del West (magari via "Apache" degli inglesi Shadows) nella penombra di mattinate e pomeriggi capitolini per i capolavori di Sergio Leone. E quella di Reverberi che arrangiava chiunque nel passaggio da Sixties a Seventies, De André come Battisti, i New Trolls come Le Orme, e che scriveva di tutto, dalle colonne sonore dei western all'italiana (anche lui) ad oscuri (e oggi quotatissimi) dischi di astrazione psichedelica (come The Psycheground Group, ad esempio), come chiamarla? Neoclassica?
Danger Mouse e Daniele Luppi vanno ancora più avanti: prendono materiali e stili e li riassemblano in qualcosa che ci appare in tutta la sua clamorosa contemporaneità, una contemporaneità che poi ha veramente poco di italiano e moltissimo di californiano, cosicché ai nostri miopi occhi provinciali si mostra pure ammantata di futuro. "Rome" mostra in splendida evidenza come Luppi non potesse restare in Italia, strangolato da un mainstream neomaccartista e da un'indie che sa di arte povera, entrambi incapaci di comprendere e apprezzare un talento come il suo. D.M. e Luppi avevano già campionato "Last Man Standing" di Reverberi per farne la "Crazy" degli Gnarls Barkley. Benché qui non ci siano samples, ma brani originali, strumenti vintage e musicisti in carne ed ossa del Morricone anni 60 (i Marc 4, i Cantori Moderni e il soprano Edda Dell'Orso), il procedimento in qualche modo è lo stesso: costruire Palazzo Barberini con i mattoni del Colosseo.
Ovviamente con il senso di tutti i duemila anni intercorsi: così, nei brani dove compaiono Jack White e Norah Jones c'è il sapore delle murder ballads di Nick Cave; in "Her Hollow Ways (interlude)" compare un accenno del tema di "Merry Christmas Mr. Lawrence" di Ryuichi Sakamoto; "Roman Blue" ha nella chitarra echi al ralenty di "It's a Man's, Man's Man's World" di James Brown; "Black" esibisce in apertura il giro di accordi di "Hotel California" degli Eagles; e si potrebbe continuare a lungo.
Ovviamente nessun brano è un plagio: la citazione è spunto, materiale edilizio per costruire un monumento più duraturo del bronzo, quello che la nuova strana coppia del pop internazionale intende come "una piccola finestra sulla vita umana che affronta temi come l'amore, la morte, la felicità, la disperazione e la relazione viscerale tra uomo e donna". È un presente che vampirizza le macerie della civiltà occidentale per sostanziare carne e sangue nuovi, vivi e pulsanti: non a caso il trailer del disco presenta un'auto che vaga tra le macerie di una metropoli di oggi per ritrovarsi poi in una città da videogame.
Disco barocco nella concezione, per nulla nella lunghezza (appena 35 minuti, ma intensi e passionali come pochi), costato cinque anni di lavoro, "Rome" avrebbe ragionevoli motivi per diventare quello che i due si augurano: un album che superi la prova del tempo. Visto il livello bassissimo del gusto medio, non solo in Italia, c'è da sperare venga riscoperto in futuro. Ma le carte sono in regola. Capolavoro.
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La recensione Rome di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-06-02 00:00:00
COMMENTI (2)
"Capolavoro."
Quoto.
stupendo :)