E’ un titolo molto intrigante quello scelto da Cesare Basile per il suono nuovo lavoro; “Gran calavera elettrica” (‘calavera’ è un termine spagnolo che significa teschio, ndr): un sottile squarcio dal quale trapelano i suoni minimalisti e la tagliente poesia contenuti nel disco. L’album si compone di brevi storie, fulgidi frammenti di vita intrisi da un’aurea rarefatta ed introspettiva nella quale ci si addentra lentamente per non scalfirne le sfumature, gli scricchiolii e l’appassionato lirismo. I solchi zampillano di intense policromie folk: chitarre, percussioni, archi che divampano in un tripudio di leggiadri suoni illuminando la vibrante profondità di testi sofferti e conturbanti (“Maestra è la donna mia che a tutte le ore cantando canta lieta la mia morte” in “Cantico dei taratati”; “E’ solo un’altra trave che scricchiola non c’è nessuno, no e questa notte non sarà l’ultima c’è ancora del tempo” in “Trave”). Davvero uno splendido album, questo “Gran calavera elettrica”, una suggestiva raccolta di perle (tra le più luminose: “Senza sonno” interpretata dalla bellissima voce di Nada, lo strumentale “Waltz # 4” e “Pietra bianca” dall’appassionato romanticismo) destinata a far vibrare parecchie corde emotive.
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La recensione Gran calavera elettrica di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2003-11-18 00:00:00
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