Ci sono dischi inaspettati, imprevisti, fuori programma. Non li hai cercati, non ne hai sentito parlare e quando arrivano non hai nemmeno voglia di ascoltarli perché pensi siano la consueta ciofeca senza un guizzo creativo degno di tale nome. Alla fine li ascolti un po' controvoglia, quasi per una sorta di deontologia che ti impone di setacciare la melma culturale nella speranza di trovarci qualche briciola di un qualsiasi valore. "Lowest Shared Descent" dei Dead Elephant sembrava uno di questi dischi, ma era in realtà la briciola di valore che sarebbe bello trovare e ascoltare sempre. E se il primo approccio, invece che sottoforma di anonimi mp3, fosse stato con la splendida confezione digipack arricchita dalle tavole di Marco Corona e con le note che recitano i dettagli di produzione, i dubbi sulla qualità del prodotto forse non si sarebbero nemmeno posti.
I Dead Elephant provengono dalla provincia di Cuneo e "Lowest Shared Descent" è il loro esordio sulla lunga distanza, facendo seguito a due anni di concerti nel nord Italia e l'EP "Sing the Separation" del 2005. La gestazione del disco è stata particolarmente travagliata, ma a mio parere ne è valsa la pena: registrazioni al Garage Ermetico Leumann di Torino (Maurizio Borgna) e al Ruminator Audio di San Francisco, missaggio al Red House Recordings di Senigallia (David Lenci) e post produzione presso il New Alliance East di Cambrige, Massachusetts (Nick Zampiello) chiariscono il perché le sonorità siano così insolitamente fresche e brillanti.
I primi tre pezzi sono, nel complesso, gli otto minuti di musica dura più eccitanti che mi sia capitato di sentire negli ultimi anni. Ti arrivano addosso come un uragano con il loro stile fragoroso, conciso, veloce e metallico che riesce ad alternare nel giro di pochi secondi inflessioni/citazioni alla Unsane, Neurosis e Jesus Lizard. Lo strumentale "Post Crucifiction" sconfina addirittura nel jazz-core, forte delle svisate al sax di Luca Mai degli Zu.
Le vere sorprese iniziano nella parte centrale del disco con due brani che, viste le premesse, arrivano quasi inaspettati: "Black Coffee Breakfast" (una composizione di dieci minuti incentrata su suoni psichedelici ed evocativi) e "Abyss Heart" (un pezzo astratto di sette minuti al confine con l'ambient industriale). La terza parte cambia ancora registro con tempi medio-lenti e sonorità post-metal che rimandano a Deftones, Isis, Tool, ecc.
E' raro trovare gruppi così a proprio agio in ambiti così distinti, ancor più raro è che le diverse sonorità si fondano in modo così omogeneo. E se della produzione abbiamo già parlato, rimane da segnalare l'abilità strumentale dei tre, decisamente sopra la media, soprattutto il batterista Sandro Serra, una vera forza della natura. Se quindi per il 2008 volete ascoltare un solo disco in ambito noise-metal-core, puntate pure su questo.
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La recensione Lowest Shared Descent di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2008-03-10 00:00:00
COMMENTI (4)
Semplicemente orgasmico. Il miglior disco - non disco italiano - del 2008. Non vedo l'ora di sentire il nuovo "Thanatology".
Post crucifixion spacca!
Ascolto molto bello!
In assoluto niente di nuovo.
Sono un fun delgi unsane.
Questi ne sono un'ottima copia.
Comprerò il loro album originale.
Sul lavoro di missaggio ho da ridire, il noise core, trattato così a tratti perde di dimensione e si uniforma al metal-core.
In questo modo produzioni di questo genere non riescono ad emergere e rimangono autorelegate nell'anonimato.
Penso che, fondamentalmente, dovremmo cercare di smetterla di scimmiottare soluzioni-studio di 'comodo'. Tornare alla registrazione 'fedele' dove il termine 'fedeltà', con i mezzi a disposizione in questi tempi farebbe produrre belle cose.
Il disco, 'affollato', 'confusionario' in maniera incantevole lo ascolto molto volentieri.
Si ascolterebbe meglio in cassetta una cosa del genere.
Disco assolutamente eccezionale.
Dall'inizio alla fine, e suoni compresi. Brividi.
Da segnalare anche la collaborazione con Eugene, "gigantesco" voodoo-singer degli americani OXBOW!