La rassegna barese continua a sperimantare nuove "musiche possibili" da quasi 40 anni. In questo modo ha fatto "debuttare" Ennio Morricone, con cui c'era un rapporto speciale, e ha fatto scoprire agli italiani artisti come Philip Glass, Sakamoto e molti altri
Michael Nyman, Philip Glass, Robert Fripp, Ornette Coleman, Arto Lindsay, Caetano Veloso, Ryuichi Sakamoto, Laurie Anderson, Lou Reed, Patti Smith, Renè Aubry, David Sylvian. E mille, mille altri.
Ne abbiamo fatti tanti di nomi, fin qui, in questo speciale. Ma quelli che trovate qua sopra, e che sono solo una piccolissima parte di una lista infinita, sono particolarmente "di peso". Sono alcuni tra quelli che in questi anni hanno arricchito la line up di "Time Zones, sulla via delle musiche possibili", rassegna musicale barese che dal 1986 ogni anno "dà spazio a compositori e musicisti particolarmente attivi nella ricerca di nuove soluzioni musicali".
Con questi obiettivi e ambizioni, l'evento, che mette assieme in "un'atmosfera da laboratorio" musicisti di stili e generi differenti, è riuscita a portare nel capoluogo pugliese artisti sensazionali, spesso molto prima che il mercato se ne accorgesse. O, in alcuni casi, senza che se ne accorgesse proprio, ma questo nulla toglie della genialità e del valore di numerosi artisti italiani e internazionali che hanno preso parte al festival, che in autunno celebrerà la 38esima edizione.
Al centro, come sempre, la ricerca. E la città: in questi anni (anzi decenni) Time Zones ha fatto suonare ogni posto di Bari, dall'auditorium Nino Rota al Teatro Kismet, ancora oggi uno dei posti chiave per la musica dal vivo in città, e infiniti altri. L'idea di cultura che l'evento ha portato avanti è stata "alta" e "altra", mettendo assieme oltre alla musica il teatro, la danza, il cinema, l'arte visuale. Qui hanno portato le loro opere, a volte in anteprima assoluta, maestri assoluti come Morricone (legatissimo alla rassegna, di cui era presidente onorario) o Carmelo Bene. Di Time Zones hanno scritto come un esempio raro di produzione culturale d'avanguardia testate come il New York Times, Liberation, Le Monde, Wire.
Dal suo gruppo di lavoro, negli anni, sono nati mille progetti paralleli, e sono stati organizzati centinaia di eventi. Come Experimenta – giunto a sua volta alla sua ventiquattresima edizione, sempre all'insegna della scoperta e delle proposte alternative –, rassegna itinerante sul territorio che è coordinata da Gianluigi Trevisi.
Trevisi è – con l'amico Roberto Ottaviano, che abbiamo già incontrato – uno dei più importanti "agitatori" di questo territorio. È il fondatore e il direttore artistico di Time Zones. Oltre che di musica è appassionato di letteratura e di cinema (ma soprattutto di Buñuel). Il suo punto di vista sulla situazione della musica in Puglia è particolarmente prezioso.
Time Zones è il tuo figlio ormai adulto. Raccontaci come nasce.
Noi avevamo messo in piedi alla fine degli anni settanta una cooperativa che aveva intenzione di utilizzare l'arte, la musica, il teatro come un'opzione lavorativa. L'ambiente in cui si era sviluppata quell'idea era quello dei collettivi universitari. Quello era il nostro mondo, come Circoli Ottobre (legati a Lotta Continua, ndr) avevamo già organizzato alcuni concerti, anche molto interessanti, tipo gli Area, Napoli Centrale e Francesco De Gregori. Ci piaceva molto l'idea di poterci misurare con questo settore, anche perché ritenevamo all'epoca che la cultura fosse il perfetto chiavistello per poter partecipare al cambiamento del mondo, al cambiamento della nostra società. Quello che era un collettivo si è strutturato poi, pian piano, come cooperativa prima e come associazion. dopo. Time Zones nasce guardandoci intorno, andando a solleticare i nostri gusti.
Da quale idea siete partiti?
Ci siamo resi conto che la musica per il cinema non aveva cittadinanza in Italia, non c'era ad esempio una dimensione dal vivo per questo tipo di musica. Così come non ce n'erano per la musica pensata per la danza. Tutto quello che accadeva al di fuori del panorama del jazz, della musica classica e della musica leggera era come se non esistess. Personaggi come Brian Eno, come Steve Reich o Terry Riley, che erano l'avanguardia, nuovi percorsi della musica, non trovavano alcuno spazio. Noi abbiamo pensato che questa cosa potesse essere un'opportunità.
Cosa fate a quel punto?
In un primo momento abbiamo pensato che per poterci autofinanziare avremmo dovuto fare dei concerti, quelli che al Sud non arrivavano. Così abbiamo cominciato a organizzare una serie di live, anche significativi: all'inizio degli anni 80 abbiamo portati qui Echo & the Bunnymen, Stranglers, Everything but the Girl, un meraviglioso concerto durato cinque ore di Fela Kuti. E tanti altri. Però ci rendemmo conto che forse potevamo occupare uno spazio libero, andando ad occuparci della musica che i francesi chiamavano e chiamano "sans frontieres", che non avesse uno specifico genere, ma che fosse oggetto di contaminazione, e mirasse all'abbattimento di steccati tra generi e stili differenti. Sull'onda di questa intuizione è nata Time Zones, che sin dall'inizio si è misurata con questo tipo di artisti, con personaggi che avessero alle spalle un percorso di ricerca. Ci siamo imbattuti in Bill Laswell, in Jon Hassell, e poi Philip Glass, Sakamoto, Laurie Anderson: sono stati i primi che abbiamo contattato, a metà degli anni ottanta. E poi ci siamo mossi anche in altri ambienti e altre discipline, abbiamo fatto due concerti di John Zorn, per esempio, o Arto Linsey, esponenti della Lovely Music. O Michael Nyman.
C'è un momento di svolta in particolare?
Il nostro punto di approdo, almeno per quelle che erano le nostre intenzioni, è stato l'ottantanove, quando abbiamo contattato Ennio Morricone, che poi è diventato anche presidente dell'associazione. Lo avevamo cercato per fare uno speech all'interno dell'auditorium Nino Rota a Bari, e nel novanta abbiamo fatto con lui il concerto di inaugurazione dei Mondiali di calcio. Oggi sembra tutto scontato, ma Morricone non aveva mai diretto fino al 1990 le sue musiche da film in un teatro con un'orchestra, perché le grandi orchestre non ritenevano la musica per il cinema degna di essere eseguita. Lui aveva più di sessant'anni ed era un po' risentito, non gli veniva riconosciuto il ruolo e il valore che aveva, quello di aver rappresentato un passaggio fondamentale per la musica italiana tutta. Morricone ha illuminato la nostra storia e noi abbiamo il vanto di averlo fatto "debuttare", il legame tra noi sarà sempre speciale.
Che ruolo ha Bari in questa vostra vicenda?
Sono trentotto anni che facciamo Time Zones, e all'inizio è stata una bellissima esplosione. La gente, soprattutto nei primi vent'anni, si è fidata di noi, non c'era alcun tipo di problema. Il nostro pubblico recepiva perfettamente i nostri intenti, l'idea di offrire un'alternativa rispetto al mainstream e al mercato è stata sposata dalla città di Bari e dal suo territorio in maniera molto felice. È stato un grande successo. Tutte le cose che abbiamo proposto hanno sempre ottenuto un grande riscontro. Valeva sia per le cose già conosciute come poteva essere David Byrne, oppure David Sylvian e Robert Fripp, ma anche perfetti sconosciuti, come Arnold Dreyblatt o progetti come Vox Libris, Blue Jean Tiranny, Peter Gordon. Anche le etichette sono state fondamentali per portare avanti tutto questo.
Cosa vuol dire festival delle musiche possibili?
Lo abbiamo definito così perché ha spaziato in lungo e in largo lungo tutte le opportunità che la musica ha concesso alla fine del novecento e all'inizio di questo nuovo millennio.
Arriva un momento in cui decidete di esportare le vostre produzioni, come avviene?
Una volta che eravamo strutturati in maniera solida, abbiamo deciso di fare questo passo: provare a portare in giro gruppi che seguivamo da vicino. Abbiamo portato in giro Nusrat Fateh Ali Khan (esponente di canto qawwali, ndr) con un coro di gregoriano in giro per l'Italia: il progetto si chiamava Oriente-Occidente e sembrava una contraddizione, un paradosso e invece ha prodotto un disco meraviglioso, registrato in cattedrale qui a Bari.
Da grandi scopritori di talenti, cosa vedete di interessante in giro?
Sono gruppi che riescono ad avere la nostra mentalità, che è quella di tenere insieme cose molto diverse, che non hanno problemi di "monotematicità". Ti faccio qualche esempio di progetti che stimiamo, per questo motivo. C'è un duo che spazia tra produzioni molto diverse tra loro e che si chiama Nidoja, composto dal percussionista Domenico Monaco e dalla violoncellista Nicoletta D'auria. A me piacciono moltissimo perché partendo dal Mediterraneo arrivano in India e poi tornano nella tradizione italiana. Un altro gruppo che ho scoperto da poco, e che appena fatto un tour negli Stati Uniti con grande successo, sono i Violence Scene. Questi ragazzi hanno una postura quasi teatrale, con richiami alla psichedelia degli anni 70 e 80 e con un mix di elettronica molto contemporanea. Un progetto ardito, ma di grandissimo valore. Purtroppo si fa sempre più fatica a fare arrivare progetti nuovi alle persone, l'attenzione e la curiosità sulle cose nuove mi pare molto bassa in questo momento storico.