Dalla sua Bari ha dato vita a una wave nuova e decisamente internazionale nel jazz contemporaneo, imponendosi ovunque come elemento di rottura e innovazione, forgiando nuovi talenti e non dimenticando mai le proprie origini
Nicola Conte è un chitarrista e compositore tra i nomi di punta del jazz pugliese, per non dire dell’intero panorama italiano. Originario di Bari, Conte nel corso della sua lunga carriera ha dato e continua a dare un contributo fondamentale alla prolifica scena jazz del territorio, esplorando in particolar modo contaminazioni con la bossa nova, la library music italiana anni ‘60, afrobeat e musica sudamericana. Al contempo ha sempre tenuto vivissimo il suo legame con il territorio e la scena jazz locale, coltivandone numerosi talenti e dando vita a ensemble di all stars (con cui ad esempio si è esibito al Viva! Festival).
Tutte queste dimensioni musicali si ritrovano anche nel suo nuovo album, Umoja, realizzato con il supporto di Puglia Sounds e pubblicato per l’etichetta discografica inglese Far Out Recordings. Ne abbiamo parlato proprio con lui nel periodo di lavorazione dell’album.
Quando eravamo in studio a registrare, le cose cambiavano quasi quotidianamente, perché il disco è concepito in un certo modo, quindi si è sviluppato nel tempo attraverso strati di idee, partendo da una base totalmente live.
Credo che oggi sia molto importante cercare di catturare nella musica che si fa non solo il segno e l’aria dei tempi, ma anche un’idea in prospettiva di questo. Uno dei punti che è stato per me centrale nell’immaginare questo disco è stato per me quello di ricollegarmi a una certa idea del sound degli anni ‘70 e di tutto quello che la musica dell’epoca voleva trasmettere, quindi con dei contenuti sociali, politici, il tutto trasposto in maniera poetica. Tanto che è stato registrato come i dischi dell’epoca: il corpo principale l’abbiamo registrato dal vivo, perché l’idea era di catturare il sound della band, e su nastro analogico.
Questo non è un disco jazz, però è una delle ispirazioni principali. L’altra è il ritmo, tutto il disco è guidato da un fluire ritmico.
Noi dovremmo farci più portavoce dell’idea di quello che noi siamo. Noi siamo una città di confine, l’Italia del Sud è un luogo di confine. È strano che noi non abbiamo un collegamento più stretto con le culture mediorientali e africane. Forse abbiamo idealmente questo compito, di essere in equilibrio tra la dimensione europea e una dimensione più mediterranea. Utilizzare quel tipo di influenze musicali trasposte in un altro contesto è anche una scelta ideologica.
Nell’ultimo paio di anni l’Italia sta cominciando ad avere una serie di nuovi progetti che hanno decisamente un respiro internazionale. Credo sia un momento importante, quindi programmi che hanno a cuore il sostegno della produzione della musica e degli artisti diventano importantissimi.