Gli strumenti della tradizione, il suono di un futuro in cui ogni cosa proviene da una macchina. A queste latitudini ci sono artisti e band che sanno benissimo come fondere queste due anime, per fare esplodere un suono magnetico e irresistibile
Per diventare davvero tale una tradizione – oltre che rispettata – va sempre attualizzata, ridefinita, innovata. L'equilibrio, lo abbiamo già visto più volte in questo capitolo, è sottile e delicato. Ma, per fortuna, in questa regione ci sono diversi artisti che (seguendo quella strada "internazionale" delineata da Go Dugong) sanno trattare la materia.
E che, con coraggio e consapevolezza, sono disponibili a contaminare queste radici, anche a sporcarle, di certo a proiettarle in un mondo in costante cambiamento. Grazie agli strumenti che le nuove tecnologie mettono a disposizione. In Puglia sono infatti nati diversi progetti artistici che guardano al passato, alle tradizioni antiche, locali e iperlocali, e a esse applicano le infinite opzioni che il digitale fornisce. Creando così un'elettronica ancestrale, o una musica popolare elettronificata (dipende un po' dai punti di vista).
Non è qualcosa di completamente nuovo. Anzi, questa attitudine è già stata una delle chiave di tutti gli artisti, i collettivi e delle esperienze di musica dal vivo che abbiamo raccontato nei capitoli precedenti. Che, a loro volta, non sono mai stati dei semplici "custodi" del passato, ma lo hanno messo in discussione, reso contemporaneo e persino futuribile.
Non a caso da qui viene un artista come Donato Epiro, biologo, compositore e musicista pugliese, che "lavora su una commistione di influenze in cui partiture elettroniche composte da suoni provenienti da archivi in rete, video, nastri, samples, sintesi FM, si intrecciano a tematiche ecologiche, antropogiche e fantastiche, per dare forma a nuovi spazi ed ecosistemi sonori". Da qui arriva anche un progetto fantastico come l’osservatorio artistico digitale Futuro Arcaico, nato a Bari dal meticoloso lavoro dello studio di progettazione creativo Folklore Elettrico, con l'obiettivo di tracciare nuovi percorsi e mappare il racconto delle tradizioni popolari, dei riti, delle narrazioni e del folklore italiano attraverso l’arte visiva, sonora e multimediale.
Assieme a loro e al già citato Go Dugong – il cui lavoro, come abbiamo visto, è anzitutto di "riannodamento" di fili personali –, qua vogliamo raccontarvi le storie di alcuni artisti che stanno contribuendo a ridefinire l'unicità pugliese e questo suo eterno vivere in bilico tra le ere e gli stili.
Il salentino Carmine Tundo è un'autentica istituzione per la musica pugliese, eclettico come pochi altri artisti da queste parti. Con la MUNICIPàL, progetto creato assieme alla sorella Isabella con cui sta registrando il quinto album in studio, ha scritto pagine importanti della scena indipendente degli anni 10. Ancora prima, era stato protagonista della stagione del rock alternativo con i Nu Shu. E poi l'attività solista, come autore e responsabile musicale per programmi tv e radio e soprattutto con i dischi a suo nome. Ad aprile ha pubblicato La Valle dell’Asso, suo quarto album "personale", per la label pugliese Discographia Clandestina con distribuzione ADA Music Italy. Dieci pezzi sospesi tra folk e cantautorato pop, in cui la sua terra è assoluta protagonista. "La Valle dell’Asso è una valle che costeggia il canale dell’Asso, piccolo torrente che taglia in due il Salento e non sfocia mai nel mare", spiega Carmine, che ha dedicato numerosi brani a luoghi e personaggi locali, e pure un testo in salentino.
Ma è con Mundial che ha portato ancora più avanti la sua ricerca artistica. Il progetto è stato lanciato assieme a Roberto Mangialardo e Alberto Manco, altri due musicisti salentini da sempre attivi nel circuito indipendente. La nuova band parte dalle radici, dalle filastrocche dei nonni e dal cantato in dialetto e arriva alle frontiere dell'elettronica moderna, seguendo la via della sperimentazione (e del field recording del territorio pugliese). Da pochi giorni è uscito il loro nuovo disco, Culacchi.
Hai attraversato diverse fasi della musica con diversi progetti. Che momento è per la musica made in Puglia?
Credo che sia un momento molto florido per la Musica in Puglia,ci sono un sacco di band e di progetti che stanno facendo bellissimi percorsi. Anche perché in alcune parti della Puglia c’è sempre stata una grossa cultura della musica dal vivo, che ha stimolato i giovani a creare nuovi percorsi.
Come definiresti il suono della tua regione?
Immagino il suono della mia regione come un ponte tra le radici popolari e un futuro ancora da scoprire, una sorta di laboratorio aperto. I miei artisti fondamentali? Antonio Castrignanò, Populous, Sud Sound System, il Canzoniere Grecanico, Après la Classe e Maria Mazzotta.
Cosa può dare l'elettronica nell'esplorazione delle proprie radici?
In realtà fino a qualche anno fa provavo una sorta di repulsione verso la musica popolare, perché quando sei più giovane sei affascinato dalla musica che ti viene somministrata dai media, a livello globale. Con il tempo e dopo mille riflessioni ho capito che la musica popolare è il suono reale di una determinata cultura e mi sono appassionato alla world music, in generale ho cominciato un percorso di riscoperta delle mie radici. Credo che la musica elettronica sia una delle chiavi più importanti per rielaborare e per analizzare determinati contesti e spingerli verso nuove strade inedite e inaffrontate.
Anche per Vera Di Lecce (è il suo vero nome!) la musica è una questione di famiglia anzitutto. I genitori sono Cristina Ria e Giorgio Di Lecce, attori di teatro sperimentale e ricercatori nell’ambito della tradizione salentina. Come altre figure che abbiamo incontrato e incontreremo, per lei la musica è qualcosa che c'è sempre stato, un passaggio di testimone, un processo quasi "inevitabile" di ricerca interiore.
Inizia da giovanissima assieme a genitori, poi si fa conoscere come voce femminile e danzatrice dei Nidi d’Arac. Una decina di anni parte con il suo progetto solista, con primo ep autoprodotto, sperimentale e molto lofi, Heavy Butterflies. Entra a far parte della band di Cesare Basile, intanto inizia a "flirtare" sempre di più (e sempre meglio) con l'elettronica, pubblicando dischi ed ep e facendosi apprezzare sempre di più all'estero. Particolarmente interessante il lavoro fatto sull'ep Fragments, co-prodotto con gli Entropia, duo storico dell’elettronica italiana, in cui canta i versi della poetessa Saffo in inglese.
Ci parli di Collepasso, il paesino in cui sei nata?
È un paesino nel cuore del Salento, anche se a dire il vero sono cresciuta a Lecce. Avevamo però una casa in campagna vicino Collepasso, in cui passavamo l’estate. Ricordo che da piccola amavo arrampicarmi sugli alberi di fico, passeggiare per la vigna, ascoltare musica sull’amaca, esplorare e correre in bici con i miei cugini e cugine. La sera guardavamo le stelle cercando di impararne le costellazioni. Ogni tanto organizzavamo gite al mare, per poi tornare alla terra. Alcuni dei miei ricordi più belli sono legati alle mattine in cui mi svegliavo e vedevo mia madre raccogliere i fiori di zucca e mia nonna disporre i fichi a essiccare o fare la salsa. Sono quadri preziosi, di profumi e sapori. D’amore.
Com'è crescere artisticamente in Salento?
Innanzitutto il Salento e la Puglia in generale, sono fucina di talenti, da quando ne ho memoria. Dalla musica tradizionale al jazz, fino al pop e alla musica sperimentale. L’attenzione e lo spazio donati all’arte sono stati e sono ampi, e ho sempre visto tanto impegno nel proporre e portare avanti progetti e iniziative culturali, nel nutrire il proprio territorio per farlo fiorire, risuonare, all’interno e all’esterno. Ho visto e vedo comunione tra artisti, che si aiutano e supportano a vicenda. Un pubblico, locale e non, che lentamente ha accolto questo impegno e restituito interesse, partecipazione, affetto. Questo lavoro costa fatica, costanza. Ma esiste e si fa sentire, e ne sono orgogliosa.
Che ruolo ha avuto la tua famiglia?
Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia di attori, danzatori e ricercatori nell’ambito della tradizione salentina. I miei lavoravano col teatro e la performance, con musica e danza popolare, proponendo una ricerca sul territorio che veniva riproposta poi sul palco o in strada come arte performativa. Posso dire di essere “nata sul palco” perché mia madre non ha smesso di fare spettacoli fino all’ultimo mese di gravidanza. Ho imparato tanto da loro, e hanno sempre supportato il mio desiderio di intraprendere una carriera artistica. Non è scontato e lo riconosco.
Come hai costruito il tuo percorso, tra canto e danza, collettivi teatrali e band, fino ad arrivare al tuo progetto?
Da piccola danzavo e cantavo nel gruppo dei miei “Arakne Mediterranea”, nato come sviluppo della compagnia teatrale “Mediterranea Teatro Laboratorio”. Mi hanno insegnato a danzare la pizzica, a cantare nel mio dialetto e anche in Griko. Poi ho avuto l’occasione di iniziare a lavorare con i Nidi D’Arac, che già apprezzavo per il loro approccio sperimentale che univa suoni e strumenti contemporanei alla tradizione. È stata un’esperienza formativa e interessante e sono grata al gruppo per avermi accolta e avermi dato la possibilità di esprimere la mia personalità artistica nel progetto. Dopo qualche anno ho però sentito l’esigenza di iniziare un percorso autonomo, da solista. Scrivevo poesie e testi dall’adolescenza e forse anche prima. Così è iniziato il mio viaggio interiore di produzione musicale.
Cosa sono le radici per te, e come le metti in musica?
Le radici. Le radici sono qualcosa di impalpabile eppure potente. Ci tengono stretti e allo stesso tempo ci permettono di allontanarci, per comprenderle meglio, studiarle, e riappropriarcene. Questo è stato il mio percorso, di riscoperta della mia terra all’interno di un’altra lingua, di un’altra dimensione. Ho iniziato con i loops, cantavo e creavo stratificazioni di voce e chitarra elettrica, paesaggi di suono, in lingua inglese, che evocavano i miei stati d’animo, e melodicamente stringevano a sé il Salento, nelle sfumature, in un arpeggio, una cadenza. Ho poi proseguito approcciandomi alla produzione elettronica, e lì ho ritrovato tutto ciò di cui avevo bisogno, che era cresciuto in me e che si è dischiuso nelle mie nuove canzoni.
Sei nata in Puglia, vivi a Roma, hai fatto molta musica a Berlino. Che differenze ci sono?
Ho scelto di trasferirmi per esplorare nuove realtà musicali e fare nuove esperienze al di fuori della mia terra, per poi creare uno scambio tra i due mondi, un interesse, una condivisione. Ho sempre viaggiato tanto grazie alla musica, anche quando vivevo a Lecce. Penso che fare il musicista sia un lavoro impegnativo sia in Salento che fuori, sia in Italia che in Europa e nel mondo. Mi piacerebbe che il lavoro artistico fosse maggiormente tutelato, soprattutto nei periodi di creazione, dato che il nostro è un lavoro intermittente. Ma ci arriveremo, ne sono certa. Sono molto felice che si investa nei talenti pugliesi grazie a Puglia Sounds, e onorata di essere tra coloro che ricevono supporto. In Italia ci sono anche altre realtà che aiutano tantissimo gli artisti, come Italia Music Export e Nuovo Imaie, e questo è lodevole. Speriamo si superino sempre più ostacoli e che il nostro lavoro venga presto facilitato.
Come metti l'elettronica al servizio del recupero della musica popolare?
Da quando ho iniziato a produrre autonomamente i miei brani, ho potuto ricreare con precisione ciò che si forma nella mia mente durante la scrittura di un pezzo. Di solito parto da un concetto, un testo, e poi sviluppo il suono intorno alle parole. A volte capita il contrario. Inizio con un beat, ci aggiungo un synth bass e la melodia cresce sulle note. Ho campionato trilli di tamburelli salentini, tamburi giapponesi taiko e percussioni orientali durante la composizione del mio album. Ho attinto da melodie tradizionali per svilupparle su frasi pop in inglese, suonando spesso la chitarra con un archetto elettronico, che diventava un’onda, come quelle del mio mare. La contaminazione è tutto nella mia produzione. Porto tutte le mie esperienze e i miei ascolti nella mia musica, dall’elettronica nord europea al calore dei tamburi di casa. È questo ciò che amo fare, provare a fondere il più possibile la mia interiorità e le mie radici con quello che viene dall’esterno, da lontano. In un abbraccio, un rituale d’amore.
Gli artisti pugliesi che più ti stanno a cuore: quali sono?
Sono tante le musiciste e i musicisti pugliesi che stimo. Posso citarne alcuni, ma la lista è lunga. In questo momento seguo il percorso di Giorgia Santoro, Alessia Tondo, Carolina Bubbico, Rossana De Pace, Rachele Andrioli, Valentina Marra, Salvatore Casaluce, Marco Bardoscia, Roberto Chiga e Mauro Durante. Apprezzo da sempre Faraualla, Sud Sound System, Radiodervish, Ora Cupa, Canzoniere Grecanico Salentino, Banda Adriatica, La Cantiga Della Serena e Ghetonìa. Sono di parte con Arakne Mediterranea e Nidi D’Arac. Mi fermo qui ma potrei continuare.
LAZZARETTO
Sono stati, per noi, uno dei gruppi rivelazione del 2021, con il loro ep Sacramento. I LAZZARE††O sono sorprendente progetto musicale nato a suon di jam in una masseria di Conversano e uscito per Dischi Uappissimi, che negli ultimi tempi ha raggiunto notevoli riscontri suonando sul palco del MI AMI 2022 e a Porto Rubino. Il loro primo lavoro colpiva per quel mix opacizzato di alt rock, elettronica, richiami shoegaze e l'effetto sciamanico emanato dalla voce del cantante (la famiglia di Angelo, questo il suo nome, ha vissuto a lungo in Belgio). Dentro alla loro musica ci sono le distorsioni e l'amore per tutti gli emarginati della Terra. È qualcosa di diverso da tutto e proprio questo ci ha colpito. Il richiamo alle tradizioni è molto diverso da quello degli artisti menzionati fin qui, eppure si sente. Fortissimo.
Da dove nasce il vostro suono, al contempo legato alle radici e internazionale?
Il nostro suono è sicuramente il risultato di contaminazioni, influenze, ascolti ed immaginari che abbiamo assorbito negli anni; prima singolarmente e poi come gruppo da quando ci siamo “formati”. L’attaccamento alla terra da cui si proviene è sicuramente una componente fondamentale del progetto. Ne è testimonianza la cover del nostro primo album “Sacramento” oppure i videoclip stessi del disco. Ad oggi stiamo scrivendo un nuovo “racconto” e nonostante possa esserci un cambiamento di scenari, forme o suoni, non può mancare la matrice da cui è partito tutto. Più cresciamo, più ci rendiamo conto di quanto sia importante ed interessante per noi continuare ad apprendere e poi divulgare i valori, i segreti, i rituali appartenuti ed appartenenti a questa terra che brucia. Ci interessa raccontarlo con una nostra soluzione. Una soluzione sincera, spietata, materna; che vede il cantato in una lingua madre appunto. Questa soluzione, in quanto necessità, passa dall’istinto ancor prima di passare per la ragione.
Esiste una elettronica made in Puglia? Che caratteristiche ha?
Non sappiamo se esiste una vera è propria "elettronica made in Puglia". Sicuramente in ogni area della nostra terra ci sono influenze o scene ben radicate negli anni. Nel tarantino per esempio è molto intensa la tradizione New-wave e Post-Punk, tanto che dagli anni 80 ad oggi si sono esibite numerose band di culto del settore. Per quanto concerne la musica elettronica sicuramente possiamo citare i LELAND DID IT e gli Inude.
Chiedo anche a voi i nomi dei vostri artisti pugliesi preferiti, oltre a quelli già citati.
Abbiamo numerosi amici che stimiamo molto sia da un punto di vista artistico che umano. Oltre a tutto il collettivo Uappissimo ci piacerebbe menzionare Meijic Inca, WISM e TRRMA'.
IL MAESTRALE
Il Maestrale viene dal barese, sono in quattro: le sorelle Alessandra e Simona Valenzano e Paolo Colaianni, tutti originari di Bari, oltre a Dario Del Viscio, nato a Vico Del Gargano, e Nicholas Palmieri di Palo del Colle. Sono giovani e stanno muovendo i primi passi, il loro percorso per ora passa dai contest e dalla creazione di consapevolezza artistica. Ma già qualcosa di interessante si nota nelle loro musiche, che si specchiano nell'epica e nei miti antichi, e che fondono sonorità pop e l'elettronica, caricandoci sopra una notevole dose di "etnicità" (a voler dare un senso a questa parola) e di sonorità mediterranee. Questo è il loro punto di vista su quel che si muove attorno alla musica pugliese.
Venite da città diverse. Come vi siete incontrati?
Paolo: Casualmente. Alessandra e Simona erano due cantautrici soliste, ognuna con la propria carriera e individualità, ma con un filo rosso che le univa per via della loro parentela. Qualche tempo dopo, Nicholas cominciò a collaborare con Alessandra nella scrittura. Io, invece, dopo anni di militanza nella scena hardcore e metal barese, fui chiamato da Simona per una data come suo batterista. Dopo qualche mese lasciai Bari in favore di Piacenza e del suo conservatorio. Non è stato così strano trovarsi, era solo questione di tempo. Avevamo tutti bisogno di uno spazio dove poter esplorare il nostro punto di vista e condividerlo con altri.
Cosa sono le radici per voi, che siete molto giovani anagraficamente?
Alessandra: Le radici per noi sono un legame profondo con la nostra terra, la nostra cultura e la nostra storia. Sono le esperienze, le tradizioni e le influenze che ci hanno plasmato fin dalla nostra infanzia nel sud. In passato, potremmo aver cercato di allontanarci da queste radici, considerandole come un ostacolo che ci impediva di adattarci a stereotipi o modelli di vita diversi. Tuttavia, con il tempo e la maturità, abbiamo compreso che abbracciare le nostre origini è un atto di consapevolezza e di affermazione della nostra unicità. Riteniamo che il mondo attuale sia ricco di influenze straordinarie provenienti da tutto il mondo, e crediamo che queste influenze possano fondersi armoniosamente con le nostre radici preesistenti: non per caso, noi da grandi estimatori della World Music, non rinunciamo mai a sperimentare sonorità dal mondo, ma prima di tutto in ordine di prelazione, vengono le nostre radici, quelle della Puglia: parte di noi in modo innegabile. Non possiamo dimenticare le spiagge affollate, le tradizioni familiari, le “viuzze” di Bari vecchia e il folklore di San Nicola. Questi elementi sono parte integrante della nostra identità e li abbiamo inseriti nella nostra musica.
Paolo: Aggiungerei che le radici sono nel piatto di orecchiette a pranzo dalla nonna mentre la radio passa un pezzo di Nat King Cole e dice "era il mio cantante preferito da piccola". È così, non c'è trucco e non c'è inganno. I nostri genitori sono nati nell'epoca della musica funk, della dark wave, del rock ma i loro genitori dalla musica popolare e da ballo. Tutti i nonni ci hanno cantato "Abbasce alla marine" e tutti i genitori si sono innamorati coi Chicago in radio alle feste. Non è la musica in sé, ma il racconto che conserva. Rokia Traoré dice che "la musica è la storia di un popolo".
Perché Il Maestrale?
Simona: Il nome del gruppo musicale "Il Maestrale" è partito da un'esperienza personale di Alessandra durante un concerto estivo del suo vecchio progetto solista nel 2021. Durante quel concerto, una signora si avvicinò a lei e le disse che la sua esibizione le aveva ricordato il vento molto forte e arrabbiato. Alessandra, ricordo benissimo, ce lo raccontò in cucina il giorno dopo, a me e mia madre la quale, conoscendo un po’ i venti (dato che nostro nonno è pescatore) disse che il vento più irruente è di certo il Maestrale. In Puglia la frase tipica dell’estate è: “oggi non si può fare il bagno, sta il maestrale”. A me personalmente piace anche sta cosa che il Maestrale sia dispettoso, incontrollabile e impetuoso: mi piace rompere le balle. Il nostro progetto intende disturbare (positivamente), smuovere qualcosa.
Com'è fare il musicista in Puglia?
Paolo: C'è da sempre un gran fermento (Bari è riconosciuta a livello nazionale come una città che sforna talenti), ma non c'è ancora molta attenzione e rispetto. Spesso notiamo che non ci sia serietà quando ci sentiamo trattati come i bambini che tornano a casa e recitano la poesia di Natale. Ed è frustrante, tantissima gente è costretta a migrare fuori per potersi sentire presa sul serio. Mi auguro sempre più un Sud dove te ne vai per scelta, non per necessità. È giusto, inoltre, spendere due parole su chi si sbatte ancora giù da noi, cercando di tenere viva la fiamma! Mi riferisco ai ragazzi di Jam Session, Associazione Cuenzo, Casa delle arti, Crutch, del Noise, X Gradi, Tigersuit, l’Eremo, ODE, Tensione, Indahouse, Arti in Libertà, Radio Frequenza Libera e tantissimi altri che ogni giorno creano uno spazio per la musica.