Abbiamo incontrato le due band che più di ogni altra hanno creato il mito della "Giamaica d'Italia". Fondati anni fa, arrivati fino alla vetta delle chart, mantengono un legame viscerale con la loro terra, lingua, cultura
C'era un tempo in cui in ogni paesino del Salento (e sono davvero tanti, vi possiamo assicurare) c'era un piatto pronto a girare, un muro di casse più o meno imponente, un dj pronto a fare PULL UPPPP. E ora.... ancora.
L'amore di questa terra per i suoni che arrivano dalla Giamaica è qualcosa che non si interromperà mai, anche con il ricambio generazionale, il cambiamento delle mode e delle classifiche, oltre che dei flussi turistici. La terra de "lu mare lu sule e lu ventu" sarà sempre anche la patria nostrana della musica in levare.
Grazie anche, se non soprattutto, a chi c'è sempre stato e continua a tenere alta la bandiera. Il lavoro di questi "pionieri" è fondamentale per continuare ad avvicinare i giovani e tramandare una cultura che, ancora una volta, è internazionalista per vocazione e legatissima alle origini, come per altro confermano le tante collaborazioni di artisti di musica popolare e world music con colleghi di matrice "reggae". O una figura come quella di Antonella di Domenico aka Rosapaeda, partita dal reggae e negli anni divenuta importantissima ricercatrice di musica e culture tradizionali.
La terra de "lu mare lu sule e lu ventu" sarà sempre la patria nostrana della musica in levare
Come raccontava Cesare Veronico, la scena reggae pugliese risale fino agli anni 80. È ricca di storia e varia, sa che essere molto mainstream (vedi il fenomeno Boomdabash) e altrettanto underground e sottoculturale. E si compone di vari filoni, dal dub al raggamuffin. All'inizio l'epicentro è un po' più in su, nel barese, da cui provengono i Different Stylee, tra le prime reggae band di casa nostra. Nel capoluogo molte idee e proposte nuove nascono negli spazi occupati, come la Giungla, dal 1983 nel quartiere Stanic.
Da Bari arriva un'altra figura chiave della scena reggae italiana come Piero Longo, in arte Militant P, voce solista degli Struggle, band roots reggae del finire degli anni '80. Militant P inizia a gravitare sempre più sull'area salentina (che da quel momento diventerà la terra promessa degli amanti del genere in Italia), dove fonda i Sud Sound System. Con lui ci sono Treble, GgD, DJ War, Don Rico, Papa Gianni. Molti di loro stanno a Bologna (città fondamentale ancora oggi per l'"export" pugliese), dove si mischiano con le "forze locali", in particolare quelle del giro che avrebbe poi dato vita ai Sangue Misto. Successivamente nella band arriva Gopher (altro nome storico e importantissimo, anche da solista, per lo sviluppo della cultura dei sound system in Italia), nel 1994 subentrano Nando Popu e Terron Fabio, ancora oggi anima del gruppo.
Con dischi come Comu na petra e Reggae Party, il collettivo scrive la storia di queste sonorità in Italia. A loro si affiancano i Boomdabash, che nascono a Mesagne come sound system nel 2002 dall'unione del deejay Blazon, dei due cantanti Biggie Bash e Payà e dal beatmaker abruzzese Mr. Ketra. E poi c'è il dj tarantino Fido Guido. C'è Adriatic Sound, c'è Kaya Killa, progetto che nasce nel 2004 dall'incontro di MAD DOPA e GANJA SMOKA con il Selector GIORGIO RUDE. Ci sono, allargando gli orizzonti allo ska e dintorni, gli Aprés la Classe.
Che ogni sera si accenda un sound system tra Lecce e Leuca, come se fossero paesi del Portland giamaicano, non dovrebbe più a questo punto stupire. Di seguito le nostre chiacchierate con due collettivi leggendari della dancehall made in Salento.
Come suonerà il vostro nuovo album?
Il nuovo disco segna un vero e proprio ritorno alle origini dei Boomdabash. C’è tanto dei Boomdabash degli esordi, abbiamo preso la dancehall ed il reggae degli albori della band e lo abbiamo portato su un altro livello completamente superiore. La celebrazione del nostro Salento e della nostra gente non è mai mancata in questi anni, ma in questo album è molto più forte ed incisiva. Soprattutto in alcuni brani che presentano liriche ed arrangiamenti incentrati sulla nostra tradizione musicale e culturale.
Che caratteristiche hanno il reggae e la dancehall made in Salento?
Possiamo dire che la dancehall salentina sia un mondo quasi a parte. Differente è soprattutto la motivazione che la muove, che è la difesa dei nostri valori e della nostra cultura, punti cardine che ritrovi sempre nelle liriche e nei testi della scena salentina. La dancehall salentina anzi, nasce proprio come strumento di valorizzazione della nostra realtà sociale, il fulcro è sempre stato quello. Quello che differenzia ancora di più i Boomdabash dalla scena salentina è l’apertura all’internazionalità, in particolare dal punto di vista musicale e di produzione.
Perché cresce proprio in Salento il reggae italiano?
Perchè da sempre il Salento presenta caratteristiche simili e simbiotiche con la Jamaica. La voglia di denuncia, il riscatto, i ghetti, la realtà di vita non sempre facile e rosea. Questo è da sempre stato un terreno fertile per la cultura e la musica Jamaicana.
Qual è la situazione della musica pugliese?
La musica Pugliese ormai ricopre un ruolo fondamentale nella scena italiana ed internazionale. Questa terra è fucina di artisti che hanno scritto e scrivono tutt’ora pagine importanti nella musica. Pensiamo ai Negramaro, ad Emma, Alessandra Amoroso, Sud Sound System, Diodato e tanti altri artisti che ormai sono punti cardine della musica italiana, che si tratti di mainstream o di underground wave.
Com’è stato il vostro inizio e come sono cambiate le cose da allora?
Abbiamo iniziato più di 20 anni fa, e non è stato per nulla semplice. All’epoca la scena reggae salentina era molto diffidente e poco aperta alle novità, in un momento in cui il 99% dei cantanti utilizzava solo il dialetto nelle canzoni, i Boomdabash che mischiavano italiano, inglese e dialetto erano visti come degli outsider, quasi come degli eretici. Siamo però andati dritti per la nostra strada restando sempre concentrati sul nostro focus, e ora possiamo dire di aver avuto ragione. All’epoca ogni settimana c’erano 4,5,6 dancehall in tanti locali diversi e location diverse, ora questi numeri non ci sono più purtroppo. Colpa della chiusura mentale ed artistica di chi ha sempre osteggiato chi provava ad entrare nel circuito radiofonico, mediatico, discografico, come noi appunto. A pensare sempre che sia più bello rimanere in pochi e nell’ombra si finisce per distruggere tutto e restare da soli.
Che effetto vi fa esserne diventati degli ambasciatori e aver portato tutto su un altro livello di popolarità?
Ne siamo orgogliosi. E questa è la vera ricompensa per tutti i sacrifici fatti negli anni, è qualcosa che va oltre il denaro, i contratti, i platini ed i numeri. Essere un punto di riferimento per le nuove generazioni e per la nostra gente, questo è stato il nostro obiettivo primario da sempre.
Quali sono gli artisti del territorio che meglio rappresentano questo genere?
Lu Marra, Sud Sound System, Fido Guido. Leggende della dancehall salentina e pugliese da sempre.
Prende spunto dall’adagio salentino: “Girai girai girai, ma megghiu de casa mia nu truai!”. Significa che ho vagato in lungo e in largo, mi sono affannato tanto quando quello che cercavo ce l’ho in casa. Il messaggio è rivolto soprattutto alle nuove generazioni, un messaggio di speranza per i giovani del Sud costretti ad esodi ormai sistematici. Da sempre ci impegniamo nella valorizzazione della nostra cultura e del nostro territorio, che tra i suoi problemi, quello più dannoso è l’emigrazione, per lavoro e/o per studio. È da tanto che esortiamo la nostra gente a considerare – qualora fosse possibile – l’opportunità di scegliere la propria terra come campo d’azione professionale. Sappiamo che è difficile, ma qualcuno ci ha tentato, e chi tenta e spesso vince, come nel nostro caso. Anche la Gen Z del post covid ha iniziato a mettere in discussione gli studi universitari fuori sede e crediamo che questo sia un importante punto di partenza. A questo aggiungiamo la nostra esperienza trentennale che attraverso il reggae cantato in dialetto salentino ha creato un vero e proprio brand, il Salento. Questo brand inizialmente è riuscito ad esportare la cultura locale ma successivamente è diventato volano di un’intera economia che spazia dal turismo all’enogastronoma e a tutte le aziende che ruotano intorno a questi importanti comparti. Se oggi i nostri giovani sceglieranno di studiare nelle nostre università e in seguito diventeranno professionisti e imprenditori impegnati sul territorio, forse ridurremo il triste gap economico che divide in due l’Italia Girai Girai vuole incoraggiare a seguire questa tendenza: nulla è impossibile.
Il reggae salentino ha mantenuto la sua dimensione originaria: siamo partiti come espressione locale che attraverso la dance hall è riuscita a crearsi uno spazio dove la musica oltre ad essere sacrosanto divertimento è anche denuncia sociale. I nostri messaggi e la nostra narrazione canora parlano del presente, sono rivolti al futuro ma usa il linguaggio della cultura e della storia di cui la nostra terra è pregna. Il reggae salentino è riuscito a risvegliare il dialetto e con esso la cultura millenaria delle tarante e della musica popolare, una musica popolare non più stantia e reiterata, ma attiva e rigenerata. Brani come Beddhra Carusa e Le radici Ca Tieni solo l’esempio di una contaminazione possibile e vincente, una contaminazione che parte dal basso e si mantiene nel tempo, parte dall’underground ma riesce a battere quel main stream che oggi spaccia tormentoni che durano appena un paio di settimane.
Tutto nasce alla fine degli anni ’80. Il Salento di quegli anni stava per perdere il dialetto, una lingua ritenuta vetusta e fonte di ignoranza, relegata ad ambienti poveri e poco compatibili con tutto ciò che proveniva dalle neonate tv private che promuovevano la vita metropolitana deridendo la provincia. Erano gli anni della milano-da-bere, dei paninari e di una gioventù che iniziava ad attaccarsi morbosamente alle griffes. In questi anni il Salento stava conoscendo gli anni più tristi della sua storia: con l’avvento dell’eroina era nata anche la mafia salentina, la Sacra Corona Unita. Le piazze dove eravamo cresciuti si erano trasformate in zone di spaccio e sparatorie. Molti dei nostri amici erano caduti in questa guerra e per noi diventò normale schierarci contro. Lo facemmo pacificamente, con la musica, ma questo ci permise di prendere posizione e avere dalla nostra parte tutta quella generazione che non si riconosceva nella violenza. Successivamente la nostra musica diventò anche un’oasi per coloro che volevano farla finita con l’eroina e con la mafia. Ma non sono solo le ragioni sociali ad aver permesso a questo fenomeno di esplodere. Le ragioni culturali hanno avuto un ruolo assai più importante perché abbiamo capito che la nostra terra – nonostante negli ultimi 160 anni sia stata ridotta a recitare il ruolo di Meridione – è capace di raccontare una cultura millenaria che spazia dai Messapi, alle prime colonie minoiche sino a Bizantini e ai giorni nostri. Questo bagaglio culturale è ancora presente nella nostra storia e anche nella nostra narrazione canora. Ci permette di dire che il passato e la tradizione sono il futuro di questa terra.
Sicuramente il reggae è ormai un’icona imprescindibile della nostra terra. Durante l’estate, sia sulle spiagge che nelle masserie risuona la nostra musica. I turisti amano vivere la loro vacanza abbinando il mare, la campagna con il buon vino, il buon cibo, Le radici ca tieni e Sciamu a ballare.
Come già detto, quando iniziammo a suonare alla fine degli ’80 il Salento non esisteva. Cantare in dialetto era considerato un delitto culturale. Allo stesso modo era vissuta la condizione di far parte del meridione. Oggi invece la consapevolezza della nostra cultura ci rende più disposti ad affrontare i problemi per risolverli. Spesso i concerti radunano masse critiche di un pubblico che vuole farsi forza con i messaggi che lanciamo. Abbiamo sollevato le crisi ambientali della nostra terra, abbiamo incoraggiato le nuove generazioni a dare tutto per la nostra terra, abbiamo fatto riscoprire la gioia di appartenere ad una storia che prima era frutto di vergogne e frustrazioni. Questa storia si chiama Sud. Anche per questo ci chiamiamo Sud Sound System.
La nostra esperienza musicale ha incoraggiato tantissimi artisti locali. Prima della nostra avventura gli unici artisti salentini ad aver sfondato il mercato discografico c’erano solo Al Bano e Franco Simone. Poi si è aperta una porta e la discografia italiana ha iniziato a parlare in salentino. Indubbiamente sono i Negramaro ad aver raggiunto le vette più alte, con il merito di essere partiti dal basso, facendo una gavetta che ha dato spessore alla loro musica. Tra i gruppi affini alla nostra esperienza musicale ci sono gli Apres la Classe ormai veterani, che mixano ritmi latini con lo ska-punk e i Boomdabash, nati anche loro dalle dancehall. Anche i talent non hanno potuto fare a meno di prendere in considerazione il Salento dove a dominare ci sono state Emma Marrone e Alessandra Amoroso, talent show dove spesso sono stati proposti i nostri brani più famosi.
Al di fuori di questi circuiti?
Oltre al mainstream c’è una scena molto interessante che ha reso moderna la tradizione della taranta con contaminazioni sorprendenti a partire dal Canzoniere Grecanico Salentino in cui canta la nostra Alessia Tondo (voce ipnotica dell’intro del brano Le Radici Ca Tieni); oppure Antonio Castrignanò dotato di estro e carisma unici. E poi c’è Enzo Petrachi, figlio di Bruno, vero mattatore della musica popolare leccese che nel suo repertorio ha raccontato con spensieratezza e calore la nostra comunità. Il Salento è anche balkan jazz capeggiato dall’istrionico maestro Cesare dell’Anna. Ma non basta: il salento è una terra di ottimi “fiati” dove molti artisti che hanno collaborato con noi sono poi conta bravissimi musicisti come Cesare Blandini e Gianluca Ria che vanno in tour con Manu Chao o Luca Manno (nostro prezioso collaboratore) che ha affrontato tour internazionali con Richie Stephens. E proprio su Richie Stephens aprirei una parentesi perché con lui abbiamo avuto l’opportunità di fare due tour in Giamaica (2016 -2017) con al seguito la nostra Bag-a-Riddim band che insieme alla star giamaicana ha cambiato nome in Ska Nation (con l’ingresso di Gianluca Ria al trombone e il grande Luca Manno al Sax) con i quali ha composto anche l’album INTERNATIONALLY (che prende il nome dal brano omonimo cantato insieme a noi SSS), un progetto che è stato curato da Papa Leu ormai da anni al nostro fianco come selecta, arrangiatore e chitarrista della Bag-a-Riddim Band e che oltretutto insieme a Rankin Lele formano Adriatic Sound, una tra le band più longeve e affermante della scena reggae-dance hall salentina. La collaborazione con Richie Stephens tra l’altro è una delle innumerevoli che in questi anni abbiamo portato nel nostro studio e annovera nomi come Freddy McGregor, Luciano the Messenjah, Capleton, Sizzla, Antony B e tantissimi altri.