Ha fatto prima il cantante in un night, poi due volte Sanremo. Senza mai dimenticare la sua terra, a cui ora ha donato anche un festival che veleggia lungo le sue coste: Porto Rubino, e che porta in Puglia il meglio della musica contemporanea
Vento di maestrale
Spinge e pulisce il mare
Ma, sottovento, son qui
Consumando onde che tagliano la pelle
Naufragandomi
Inizia così Porto Rubino, pezzo del 2020, che ha presto smesso di essere "solo" una canzone. Per diventare la colonna sonora di una terra, la messa in musica di un modo di vivere, infine un festival. A scriverla e cantarla Renzo Rubino, artista nato a Taranto nel 1988 e cresciuto a Martina Franca, uno che in questi anni ha fatto di tutto e non si è fermato mai. I dischi (sin da quando è ragazzino con i KTM e poi quattro album da solista), due Sanremi (e mezzo), le serate tv in Rai, le iniziative di solidarietà, i tour, e persino, appunto, un evento musicale che porta il suo nome.
Porto Rubino nasce tra il gioco e la follia visionaria. Ora è alla sua quinta edizione, dal 30 giugno al 9 luglio, ed è diventato "una certezza tra i festival estivi italiani". Sarà itinerante tra le coste pugliesi. "Sembrava assurdo poter immaginare di trasformare una barca in palcoscenico, di fare in modo che diverse entità artistiche potessero coesistere in situazioni instabili. Invece, come un qualsiasi porto, il Festival non ha genere ed è prevalentemente sull’acqua".
A bordo di barche o lungo scorci incredibili, da Brindisi a Giovinazzo, passando per Monopoli, Tricase e Campomarino di Maruggio, si esibiranno numeri uno assoluti, da Madame a Mahmood, Niccolò Fabi o Emma Marrone. Ma anche tanti giovani pronti a diventarli, dei numeri uno, come Emma Nolde o i Delicatoni, con una notevole attenzione per ciò che si muove nei circuiti "minori" e agevolarne il salto in avanti. Una caratteristica molto apprezzata della rassegna, inoltre, è la volontà di fare suonare numerosi artisti del territorio.
Un modo, anche questo, per valorizzare quanto si ha, fare rete. Fare brillare la propria terra attraverso la musica.
In questo speciale abbiamo parlato tanto di luoghi e persone. Quali sono quelli fondamentali per la tua formazione?
Ho iniziato da bambino col teatro, volevo fare l’attore, ma poi mi sono ritrovato prima pianista di pianobar e successivamente pianista di una band in un night club mentre le signorine si spogliavano. A causa di un litigio tra il frontman e la sua ragazza, non contenta del luogo in cui esercitava, lui ha deciso di lasciare il gruppo. Era evidente che non potevamo perdere il lavoro ed ho preso così il suo posto. Ho fatto questo lavoro tutte le notti per 2 anni quando io ne avevo 19, mentre i miei genitori pensavano facessi il cameriere. Il primo concerto visto è stato un live di Lucio Dalla, mi ha fatto volare, poi ho girovagato un po’ l’Italia fino a quando una persona non mi ha fatto capire il mio valore e da lì ho lavorato per migliorarmi.
Com’è stato crescere come musicista nella provincia pugliese?
È stato difficile sotto certi punti di vista, non c’era la predisposizione ad ascoltare musica inedita e nessun locale era veramente adibito a musica dal vivo. Però ho suonato tanto, magari in una scaletta in mezzo a dieci cover inserivo un paio di mie canzoni, poi da due son diventate tre e così via. Nel mio piccolo ho cercato di “educare” il pubblico che avevo davanti. Oggi va sicuramente meglio in provincia, però la musica live, soprattutto quella emergente sta facendo fatica, i club fanno fatica. Sotto certi numeri non si riesce proprio a stare dentro. Così tanti chiudono. È un cane che si morde la coda, spero arrivino presto degli aiuti concreti.
Che caratteristiche ha il "suono della Puglia"?
Il suono della Puglia è dissonante ed etereo, è primordiale. Ho nelle orecchie i fiati delle bande, o i Groove in 12/8. Ma c’è anche tanta armonia, il bel canto. I festival di musica classica importanti come quelli della Valle d’Itria sono un fiore all’occhiello anche a livello internazionale. Poi ci sono sicuramente una serie di ragazzi interessanti, dalla musica d’autore a quella sperimentale. Mi viene in mente Checco Curci, Lazzaretto, Bouvier. Ma ce ne sono davvero tanti bravi!
I tuoi artisti pugliesi preferiti?
Il primo nome che mi viene in mente, per una serie di motivi, è Caparezza. Sono cresciuto con le sue canzoni nelle cuffie. Un grande del passato sicuramente Domenico Modugno, ma anche Enzo Del Re.
Come nasce Porto Rubino?
Qualche anno fa ho navigato col mio gozzetto (una tipica imbarcazione italiana) fermandomi in alcune calette in giro per la Puglia. Ho amplificato una tastiera a batteria ed ho iniziato a cantare, come una sorta di busker del mare. È stato incredibile. Poi c’è stato il lockdown in inverno, vedevo tutti i progetti andare in fumo, allora ho pensato di trasformare la mia gita in mare in un festival, di fare qualcosa per la mia terra, di concentrarci su tematiche necessarie. Ed è così che Porto Rubino mi ha dato tanto.
Cosa dà a una terra un festival?
Dà la possibilità di viverla al meglio, attraverso la musica, i progetti collaterali, gli introiti che i festival generano per le attività locali, il turismo. Ormai sono delle realtà importantissime in Puglia e ce ne sono di esempi grandiosi come il Viva!.
Il tuo momento preferito nella storia di Porto Rubino?
San Vito, momento del soundcheck, ero sulla barca. Il camerino si trovava su un’altra barca. Sento voci, rumori, mi giro e vedo un’artista in mare, il suo cappello da una parte e il suo cane dall’altra, erano inciampati. Dopo un accenno di preoccupazione in realtà mi sono accorto che il clima invece era di gioia e ilarità. Lì ho capito che quello che avevamo creato era un grande luna park in cui essere felici.
Il tuo live del cuore come artista, invece?
Il primo dopo il mio festival di Sanremo, in Piazza Crispi a Martina Franca, la mia città. La pizzeria della zona ha segnato il record di pizze vendute, ancora oggi mi ringraziano.